Vivere a Milano costa, anche per il ceto medio

Costi Milano

L’indagine Cisl e BiblioLavoro: anche chi ha un lavoro fisso si trova a usare i propri risparmi per fare fronte al caro vita

Vivere a Milano costa, sempre di più. Chi vive in città e nell’hinterland, anche quando ha un lavoro fisso e un reddito medio, si trova a dover fare delle scelte per risparmiare, rinunciando alle cure mediche o limitando alcune spese del quotidiano. I dati sono dell’indagine a cura di Cisl Milano Metropoli e BiblioLavoro, annunciata l’11 luglio, su un campione di 2953 interviste on line tra gli iscritti. Accade, tra l’altro, tra coloro che, per il 91,9 per cento hanno un lavoro fisso o, per chi nel 57,8 per cento dei casi, ha uno stipendio annuale lordo sopra i 28 mila euro.

Il costo della casa è il primo problema (65,5 per cento), ma per gli intervistati sono diventati troppo onerosi i costi per il tempo libero (46,7 per cento) e quelli per la spesa alimentare (29,5 per cento).

Per il carovita 1 su 4 rinuncia a curarsi (qui Cisl ha condotto un’altra interessante indagine sulla sanità in Lombardia); più di un milanese su 3 si orienta più frequentemente che in passato ai discount e più di 1 uno su 3 ha deciso di acquistare meno carne e pesce per risparmiare. Oltre 1 su 4 ha rinunciato a beni e servizi per figli o fragili; 1 su 5 ha ritardato il pagamento delle bollette.

Vivere a Milano costa: i risparmi si erodono

Un dato preoccupante è l’erosione dei risparmi: nel campione, l’80 per cento ha attinto al conto in banca per fronteggiare il carovita e il 40 per cento lo ha fatto “spesso”. Alla domanda “Se domani ti capitasse un impegno imprevisto da 1.500 euro saresti in grado di fronteggiarlo in autonomia?”, il 32,3 per cento ha risposto “no”, un dato che sale al 44 fra chi ha un reddito fra 15 mila e 28 mila euro, al 47,7 fra gli under 36, al 51,2 fra gli stranieri.

Ha detto Eros Lanzoni, segretario della Cisl milanese con delega al mercato del lavoro;

Un punto che mi sembra importante da sottolineare è che stiamo parlando del cosiddetto ceto medio, una fascia sociale composta da persone con un lavoro a tempo indeterminato e un reddito fisso, che fino a poco tempo fa, almeno a prima della pandemia, era considerata al riparo dal rischio di cadere in povertà o comunque di dovere fare grossi sacrifici per riuscire a vivere nell’area più produttiva del Paese. Oggi non è più così e i dati lo dimostrano. Il problema è che si tratta di persone non abituate a trovarsi in condizioni di bisogno e che non possono contare su sostegni e risposte, se non occasionali, che il sistema pubblico riserva generalmente solo ai più fragili.