Diminuiamo ogni anno e siamo sempre più vecchi

Per il terzo anno consecutivo la popolazione italiana è in calo. Il 1/1/2018 eravamo 60 milioni 494mila, l’1,6%, equivalente a 95.000 persone, in meno rispetto al gennaio 2017. Anche lo scorso anno il saldo tra nascite e decessi è stato negativo di 183.000 persone, cioè le nascite non compensano i decessi, nonostante l’allungamento delle aspettative di vita. Per fortuna questo saldo negativo viene in parte attenuato dalla presenza di nuovi immigrati che, comunque, non bastano per mantenere un saldo positivo della popolazione.

In Lombardia il calo naturale, dato dal saldo negativo tra nascite e decessi, è stato in un anno del 19% (oltre 10.000 persone), ma è stato compensato da un’immigrazione interna da altre regioni italiane (+15.000) e dall’immigrazione da altri paesi. Parte di questo incremento è stato però ridotto da trasferimenti per motivi diversi di –10.600 persone. In totale la nostra regione registra un saldo attivo di popolazione di oltre 20.000 persone. Molto peggio è andata in altre regioni: nel vicino Piemonte in un anno gli abitanti si sono ridotti di 17.000 persone mentre in Veneto di 4000.

Il calo di popolazione non risparmia nemmeno il sud Italia, tradizionalmente considerato più prolifico. In tutte le regioni del mezzogiorno, infatti, gli abitanti calano, anche a causa della migrazione interna.

Nel 2017 si stima siano venuti al mondo 464mila bambini, il 2% in meno rispetto al 2016 quando se ne contarono 473mila. Risulta battuto, pertanto, il precedente record di minimo storico dall’Unità d’Italia. Le nascite, peraltro, registrano la nona consecutiva diminuzione dal 2008, anno in cui furono pari a 577mila. Le regioni più prolifiche sono quelle del nord, meno nascono percentualmente meno bambini nel centro Italia. Comunque tutte le regioni registrano un saldo naturale negativo salvo il Trentino Alto Adige in positivo di 600 persone.

Nel 2017 si stimano 647mila decessi, 31mila in più del 2016 (+5,1%). In rapporto al numero di residenti sono deceduti 10,7 individui ogni mille abitanti, contro i 10,1 del 2016. La mortalità nel 2017, in termini assoluti e relativi, è vicina a quella registrata nel 2015, anno in cui si ebbero 648mila decessi e un tasso di mortalità identico. L’aumento di mortalità non è necessariamente legato a fattori patologici: nel momento in cui gli individui tendono a vivere più a lungo, favorendo contestualmente la conservazione e l’invecchiamento della popolazione, è normale attendersi un andamento crescente dei decessi e del tasso di mortalità.

Va, però, anche rilevato che la mortalità è più alta nel Mezzogiorno (9,1 per mille il valore del tasso standardizzato) e più contenuta nel Nord e nel Centro (rispettivamente, 8,1 e 8,2 per mille). Pare evidente quindi che, seppure l’incremento della mortalità sia una tendenza generale, la diversa qualità del servizio sanitario nelle diverse regioni abbia un’incidenza sul numero di morti. Nel 2017 la speranza di vita alla nascita risulta pari a 80,6 anni per gli uomini e a 84,9 anni per le donne, sostanzialmente invariata rispetto all’anno precedente.

Gli stranieri residenti in Italia al 1° gennaio 2018 sono 5 milioni 65mila e rappresentano l’8,4% della popolazione, dato vicino a quello del 2017 (8,3%). L’incremento è di appena 18mila unità per un tasso pari al 3,6 per mille. Risultano, pertanto, infondati gli allarmi che anche in questi giorni stanno infiammando la campagna elettorale.

Al 1° gennaio 2018, il 22,6% della popolazione ha età compiuta superiore o uguale ai 65 anni, il 64,1% ha età compresa tra 15 e 64 anni mentre solo il 13,4% ha meno di 15 anni. Rispetto a 10 anni fa le distanze tra le classi di età si sono ulteriormente allungate: aumentano le persone in età di pensionamento mentre diminuiscono quelle in condizioni attive.

La crescita della popolazione anziana, in parallelo ad un basso tasso di natalità e ad una diminuzione della popolazione attiva, obbligherà le classi politiche a rivedere globalmente le politiche di bilancio.

La spesa sanitaria e per la non autosufficienza dovrà necessariamente crescere se non si vorrà tornare ad un sistema che abbandoni la visione universalistica della nostra sanità e scarichi sempre di più sulle famiglie una parte dei costi, ma questo sarà realizzabile soltanto se si invertiranno i trand di natalità e se crescerà in modo significativo la base produttiva. Come sempre politica sociale e politiche di sviluppo sono strettamente collegate, la contrapposizione anziani/giovani che ogni tanto riaffiora nel dibattito politico è strumentale e non coglie quelli che sono i veri problemi che il paese dovrà affrontare nei prossimi anni.

Intanto, mentre la classe politica parla d’altro, la spesa per sostenere gli anziani non autosufficiente ricade quasi interamente sulle famiglie, ma fino a quando questo sarà possibile?


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