Contro le mutilazioni genitali femminili e non solo il 6 febbraio

Il 6 febbraio si è svolta la Giornata contro le mutilazioni genitali femminili e Eva Santangelo, coordinatrice del Coordinamento politiche di genere nazionale, ha scritto la riflessione che riportiamo.

Le mutilazioni genitali (MGF) costituiscono una violazione dei diritti umani a danno di milioni di donne e bambine in tutto il mondo. È violazione del diritto alla vita, alla libertà e alla sicurezza personale, del diritto alla salute fisica e mentale, all’integrità fisica a non subire violenza ed essere sottoposti a trattamenti disumani e degradanti. Tutti diritti solennemente proclamati in Corti Internazionali e Sovrannazionali.

Le MGF sono presenti sia nelle aree rurali che urbane in paesi africani e del medio Oriente e fra popolazioni immigrate nei paesi occidentali. Questo fenomeno, che non ci appartiene culturalmente, non è lontano da noi perché riguarda donne che vivono accanto a noi, con cui andiamo a scuola, cresciamo, lavoriamo e incrociamo ogni giorno per la strada.
Il termine mutilazione evidenzia la gravità, la pericolosità di pratiche cruenti che lasciano cicatrici fisiche ed emotive profonde, con conseguenze psico-fisiche devastanti.
Nell’origine di tali crudeltà si celano complesse motivazioni sociali e culturali, antropologicamente legate alla costruzione dell’identità di genere ed appartenenza comunitaria, come se essere nata con connotati biologici femminili non fosse sufficiente.

Mutilazioni genitali femminili. Le origini, che cosa fare per contrastarle

Le mutilazioni genitali femminili sono una tradizione tramandata dalle famiglie e dalle comunità, investite del valore di una norma sociale e regola culturale che vengono interiorizzate dalle donne e la dismissione della pratica viene percepita come una vergogna e rischio di esclusione dal gruppo d’appartenenza. Le MGF sono una componente fondamentale del matrimonio, entrando a far parte della ricchezza della sposa (brideprice) e la garanzia della purezza e dell’inviolabilità comporta un aumento della transazione economica fra le famiglie.

Nonostante l’approvazione di leggi contrastanti, difficile è la loro attuazione. Importante è il ruolo delle reti sociali che possono promuovere l’abbandono delle mutilazioni genitali femminili. Medici professionisti, organizzazioni religiose e le giovani; i medici possono sconsigliare ai colleghi di effettuare le mutilazioni a domicilio o in strutture mediche, spiegando che tali pratiche violano i codici deontologici professionali sia nazionali che internazionali; così come leader religiosi possono avere un ruolo importante nel convincere i fedeli ad opporsi; queste due categorie conferiscono una credibilità e legittimità per l’eradicazione della pratica.

Mentre le giovani possono condividere la loro dolorosa esperienza e denunciare le concezioni errate e i ruoli di genere stereotipati prevalenti nelle loro famiglie, specialmente negli istituti scolastici. Occorrono sforzi continui e coordinati di interventi internazionali, nazionali a quelli nelle comunità, riconoscendo altresì che le legislazioni, le politiche nazionali formulate dalle autorità governative non sono sufficienti per decretare la fine della pratica e che la decisione di abbandono deve scaturire dall’empowerment delle comunità, in particolare delle donne.

Eva Santangelo
Coordinatrice nazionale Politiche di Genere