Nell’audizione in Parlamento di Nino Cartabellotta, i numeri che confermano le difficoltà del sistema
Gimbe ha sollevato il velo su una delle questioni che mettono in crisi il sistema sanitario nazionale. È un tema che è stato evidenziato più volte da Cisl e da Fnp e che ha una spiegazione quasi banale: la cattiva gestione del personale. I professionisti che lavorano in sanità non sono pagati abbastanza e sono in numero insufficiente. Nell’audizione in Parlamento del 9 gennaio, presso la XII Commissione Affari Sociali, Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione Gimbe, ha osservato, dati alla mano, che la spesa sanitaria per il personale si è ridotta negli anni: nel 2012 era il 33,5%, rispetto alla spesa sanitaria totale, nel 2023 è stata registrata al 30,6%. Nel dettaglio, la spesa per il personale dipendente ha visto una contrazione, da 36,4 miliardi di euro nel 2012 a 34,7 miliardi nel 2017. Dopo il Covid, la voce ha iniziato a risalire, arrivando a 40,8 miliardi nel 2022, per poi scendere a 40,1 miliardi nel 2023. Gimbe calcola che negli ultimi undici anni il personale dipendente ha perso, in questo modo, 28,1 miliardi di euro.
Gimbe: in sanità mancata programmazione
L’analisi di Gimbe ha utilizzato come fonti la Ragioneria Generale dello Stato e i report del ministero della Salute; quest’ultimo comprende il personale dipendente del Ssn, le università, le strutture pubbliche e quelle equiparate alle pubbliche. Secondo Gimbe, il servizio sanitario pubblico vive una crisi importante del personale sanitario, causata da errori di programmazione, dal definanziamento e da fenomeni di demotivazione e disaffezione dei professionisti. Dai limiti ai tetti di spesa sul personale vengono, come ricorda Conquiste del Lavoro, situazioni paradossali che costringono le strutture sanitarie a rivolgersi a cooperative e personale esterno.
Che ci sia un problema di strategia sulla gestione del personale è confermato dal fatto che le regioni più virtuose nell’erogazione dei livelli essenziali delle prestazioni registrano una spesa per unità di personale dipendente più bassa; questo perché, suggerisce Gimbe, verosimilmente una maggiore efficienza viene da una riduzione delle posizioni di vertice e da un più alto rapporto professioni sanitarie/medici.
Carenza di personale e disaffezione
Mentre molti medici, scoraggiati dal sistema pubblico, scelgono di lavorare nel privato o di andare all’estero, meno giovani scelgono corsi di laurea come scienze infermieristiche o specializzazioni mediche che risultano poco attrattive, come quella dell’emergenza-urgenza. Intanto, alcuni professionisti raggiungono l’età della pensione e chi resta deve supplire alla carenza di organico con turni sempre più impegnativi.
Per Cartabellotta, senza un adeguato rilancio delle politiche per il personale sanitario, l’offerta dei servizi sanitari ospedalieri e territoriali sarà sempre più inadeguata rispetto ai bisogni di salute delle persone, rendendo impossibile garantire il diritto alla tutela della salute.