L’ultimo rapporto Inps, commentato nel convegno del 10 febbraio a cura dell’Università La Sapienza di Roma
Il convegno “Donne e pensioni”, organizzato il 10 febbraio dal laboratorio su diversità e disuguaglianze di genere “Minerva”, del Dipartimento di Scienze Statistiche dell’Università La Sapienza, Roma, ha approfondito il tema delle differenze di reddito tra donne e uomini, anche dopo il periodo di lavoro. Il convegno, in un serrato incontro tra tecnici dell’Inps e sindacati, ha ricordato i dati del XX rapporto Inps del 2021, presentato alle Camere nel luglio scorso.
I dati parlano chiaro. Al 31 dicembre 2020, i pensionati italiani erano pari a 16 milioni, di cui il 7,7% uomini e l’8,3% donne. Le pensioni medie mensili delle donne (pari a 1.365) sono ben il 28% inferiori a quelle degli uomini (pari a 1.897 euro). Tra Nord e Sud poi il divario persiste sia a livello retributivo, sia nel dato pensionistico: le pensioni medie al Centro-Nord superano di poco i 1.700 euro, mentre quelle al Sud e Isole sono pari a 1.400 euro.
Donne e pensioni: una penalizzazione che viene da lontano
Come evidenziato nella relazione del presidente Inps Pasquale Tridico, il lavoro delle donne, oltre ad essere sottopagato, è anche discontinuo. Il 46% lavora part-time (18% degli uomini) spesso non per scelta reale e percepisce salari più bassi, con carriere fortemente influenzate dalla nascita dei figli. A 15 anni dalla maternità i salari lordi annuali delle madri sono di 5.700 euro inferiori rispetto alle donne senza figli e al periodo antecedente la nascita le settimane lavorate in meno all’anno sono 11. Con il sistema contributivo il problema è diventato più acuto: la pensione è strettamente legata ai contributi pagati durante la vita lavorativa e così gli ostacoli e gli svantaggi incontrati dalle donne nel corso della vita lavorativa si riflettono in pensioni meno generose.
Quali, allora, le proposte per superare il gap?
Il direttore dell’Inps, Tridico, ha evidenziato la necessità di approntare politiche di incentivazione dell’impiego femminile con sostegni attraverso sgravi contributivi mirati al rientro dopo la maternità e non solo al momento dell’assunzione.
Tutti i sindacati presenti al convegno hanno ribadito che per diminuire il gap occorre riconoscere il lavoro di cura svolto all’interno delle famiglie.
Valeria Picchio, della Cisl, sottolinea l’importanza di favorire la “buona occupazione” femminile individuando misure previdenziali e servizi sociali coerenti, poiché tra le cause della fragilità del lavoro retribuito per le donne vi è proprio la mancanza di servizi per l’infanzia e per l’assistenza degli anziani. Propone poi che
“lo sconto di 12 mesi dal periodo retributivo venga considerato anche per le pensioni anticipate e non solo per l’APE sociale”. (…)
“Servono pensioni continuative di garanzia capaci di comprendere gli anni di cura integrati ai periodi di maternità… e nei lavori usuranti vanno considerate anche le occupazioni femminili con mansioni gravose”.
Nadia Bertin
Per leggere il resoconto approfondito sul convegno, a cura di Nadia Bertin:
Per consultare i materiali del convegno: